Fondazione
Caracciolo - De Sangro

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 Carlo III di Borbone

 XVIII secolo – Dimensioni 100cm x 80cm

 

Il ritratto raffigura Carlo III di Borbone, fondatore della sua dinastia, che ereditò numerosi stati in Europa occidentale e meridionale, oltre ai regni di Napoli e Parma, alla morte del fratellastro Ferdinando VI. Carlo III è rappresentato di tre quarti, indossa una corazza metallica con una fascia verde di un ordine cavalleresco non identificabile e tiene il bastone del comando nella mano sinistra, con la corona reale sullo stesso piano. Potrebbe essere stato ritratto nello stesso luogo della moglie, come indicato da un altro ritratto dell’epoca. Sullo sfondo si vede un trono decorato in stile settecentesco. Il ritratto esalta il suo ruolo di comandante militare, evidenziato dall’uso della corazza e del bastone, seguendo il modello di “ritratto di stato” elaborato a Napoli dai pittori di corte. Un confronto significativo può essere fatto con il ritratto di Anton Raphael Mengs, un famoso artista del Settecento, probabilmente realizzato prima del 1779 e conservato agli Uffizi di Firenze.

Giorgia Turco e Donatella Salamida.

 Il ritratto raffigura Petracone VIII di Caracciolo, figlio di Placido de Sangro e di Francesca del Giudice, nato il 24 dicembre 1804 e morto il 3 agosto 1827 per suicidio. Il soggetto è ritratto a mezzo busto, di tre quarti, con gli occhi socchiusi, indicando la natura funeraria del dipinto. Nel cartiglio in basso sono presenti il nome e le date di nascita e di morte. Il volto ha una capigliatura rossiccia e riccioluta, illuminato da una fonte luminosa frontale. Gli altri tre ritratti ottocenteschi degli ultimi eredi della famiglia Caracciolo non possono essere attribuiti con certezza all’autore. Tuttavia, si ipotizza che potrebbero essere opera del pittore Giuseppe di Giuseppe, attivo a Martina Franca nel periodo in cui sono stati realizzati, noto per la sua specializzazione nei ritratti. La composizione e la scelta cromatica dei dipinti sembrano riflettere gli effetti della fotografia, una tecnica all’epoca di recente introduzione.

 

 Giorgia Turco e Donatella Salamida.

Petracone Vlll Caracciolo

Dopo il 1827 – Dimensioni 46cm x 62cm

Sant’Orsola

 XVIII secolo 

Nel dipinto, Sant’Orsola è rappresentata in primo piano mentre torna a Roma durante un pellegrinaggio e viene assalita dagli Unni, con il re Attila che si invaghisce di lei e le fa una proposta d’amore, ma viene rifiutato. A causa di questo rifiuto, Sant’Orsola viene condannata a morte. La composizione è bilanciata ed equilibrata, con Sant’Orsola al centro e altre vergini disposte simmetricamente intorno a lei in due gruppi su diversi piani in profondità. Un forte fascio luminoso da destra evidenzia il ruolo di protagonista di Sant’Orsola, mentre le altre vergini sono appena illuminate. Sant’Orsola tiene una bandiera nella mano sinistra, simbolo della vittoria sul martirio, e una freccia nella mano destra, simbolo del suo martirio. Indossa abiti romani, con una tunica rosa e un mantello dorato, e una corona raggiata sulla testa che sottolinea la sua regalità. Il movimento del vento agita i suoi abiti e la bandiera, aggiungendo dinamicità alla scena.

Sulejmani Selma e Francesca Mansueto.

La rappresentazione di San Giovanni Evangelista lo mostra seduto ai piedi di un albero, concentrato mentre compone il suo Vangelo. Accanto a lui c’è un’aquila, il suo simbolo, che gli porge un rotolo di papiro. La scena è illuminata da una luce dall’alto, che mette in evidenza i colori della sua tunica verde e del mantello porpora. Sullo sfondo, su uno sperone di roccia, c’è una custodia cilindrica che potrebbe contenere rotoli. Il paesaggio di sfondo mostra alberi e montagne.

 Sulejmani Selma e Mansueto Francesca.

Sant’Orsola

XVIII secolo – Dimensioni : 160 cm x 66 cm

Madonna del latte

XVIII secolo – Dimensioni : 32 x 43cm

La Madonna del Latte ha origine dall’iconografia bizantina della galaktotrophousa, diffusa nella pittura medievale italiana. Durante la Controriforma, questo modo di raffigurare la Madonna come madre che allatta sarà considerato inappropriato e non conforme ai canoni della pittura sacra del Concilio di Trento. Solo in seguito questa antica iconografia bizantina sarà ripresa, come nel caso di questo dipinto del XVII secolo. Nel dipinto, il bambino è ritratto di spalle, nudo, poggiato su velluto bianco mentre prende il latte dal seno della Vergine. La Madonna indossa un mantello blu sopra una tunica giallastra, mentre la luce proveniente da sinistra crea ombre nette a destra. Lo sfondo è di colore rosso scuro. La Vergine guarda il Cristo con la testa leggermente inclinata. Questa raffigurazione della Madonna è considerata protettrice delle partorienti.

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Carlucci Flavia

Nel registro inferiore, in modo particolare, alcun demoni del dipinto, si confrontano in modo abbastanza puntualecon quelli del registro inferiore del giurizio universale di Michelangelo nella cappella sistina.L’elegante cornici e collaborazione dei magi, vicino al comittente impreghira, presenta anche essarichiame alla cultura figurativa del tardo di nascimento e del manierismo e dalla tipica grottesca in bocca in quel periodo.Nel registro intermedio era affigurata la circoncizione di Gesù, fatta da un sacerdote ripolto di spalle.Nella parte sinistra in atto di pregliera a si ve del papa e l’imperature a qui piedi la tiara.Sul lato opposto affianca la circoncizione troviamo due figure femminili in ginocchio, a qui piedi la corona dell’imperature e una legale.Nel registro superiore, il monogramma del nome di Gesù è portato in triomfo da una schiera di Angeli.

Il dipinto, sulla base di considerazione istilistica, si inquadra nella corrente del manierismo,di inscrizione latino che è riuscita a terrestre un eti infernorium, determinata separazione ai tre tre registri.Si tratta di un passo della lettera di San Paolo ai abitanti di Filipi, in cui si dice che nel nome di Gesù ogni essere umano del cielo dell’inferno si preghe in ginocchio.Questa grande pala daltare, di cui non si conosce la chiesa di provenienza, mostra le qualità notevoli di un pitture al momento non identificabile alla matrice manierista.L’elegance e la fluidità dei panneggi, il forte plasticismo delle figure e il canciontismo dei colori.

Carlucci Flavia

Esaltazione di gesù

600 

Capitello Ionico

XV/XVI Secolo 

Il capitello ionico per sua natura si presenta diversamente sui due lati principali e sui fianchi, dove le due volute dei lati opposti vengono collegate tra loro da un pulvino o rocchetto che si assottiglia al centro, spesso separato da un balteo. Il capitello d’anta ionico si compone di un corpo principale e riconducibile ad un volume tronco piramidale, sormontato da un abaco di forma parallelepipeda (in generale assente in età arcaica), coronato da una composizione di modanature sovrapposte. Il capitello ionico è caratterizzato dalla colonna con base, fusto scanalato (24 scanalature nel periodo classico), capitello a due volute laterali dalla trabeazione con architrave divise in 3 zone sovrapposte, con fregio a dentali o figurate a rilievo e con cornice. 
 
 Le campane sono un elemento caratteristico di una struttura di carattere religioso, sono di regola collocate in una torre campanaria nelle chiese più grandi ed importanti, mentre in quelle meno imponenti sono inserite in celle campanarie del tipo “a vela” aventi dimensioni più contenute all’interno di piccoli vani coperti da volte a tutto sesto, come in questo caso.
Su una delle campane appare in rilievo l’effigie del santo patrono  della città, S. Martino di Tour, riconoscibile dai paramenti vescovili che indossa e dal pastorale. L’iscrizione in latino, incisa sulla  campana, porta una invocazione alla Vergine della Misericordia, unitamente al nome del probabile committente della realizzazione delle due campane, Pietro Simeone.
Si tratta di un esponente di spicco dell’aristocrazia agraria locale (“gentiluomini”) che nel corso del sec. XVll  si impone come protagonista di importanti committenze artistiche, assieme naturalmente alla famiglia ducale, nell’ambito di importanti edifici religiosi della città. Nel caso specifico di Pietro Simeone, si sa che questo personaggio ha promosso, tra l’altro, la ricostruzione in stile tardo barocco di alcuni altari di destra della Chiese di S.Vito dei Greci ed alcuni interventi nella navata di destra  nel complesso dei Cappuccini a Martina Franca.
Nella Chiesa dei Cappuccini questo personaggio scelse il luogo di sepoltura, come risulta dall’iscrizione qui conservata.
Diverse campane in bronzo, talvolta anche di epoca precedente, sono documentate nella città, come nel caso della Chiesa della Vergine del Purgatorio ed in quella di  S. Maria della Purità, facente parte del complesso monastico di S. Agostino (Monache Grandi).

Campanile XV/XVI Secolo (Campane fuse in bronzo)